Nella nostra concezione etica della vita e dello Stato,
il rapporto organico tra uomo e natura costituisce non solo il
paradigmatico rispetto tra "parti del tutto", ma l’affermazione di un
rapporto impostato sulla via segnata della Tradizione. Per questo la
salvaguardia dell’ambiente deve essere considerata un tutto uno con lo
sviluppo. Alla luce di ciò esigiamo una difesa della natura che non può
essere considerata unilateralmente con criteri economici, poiché la
conservazione degli ambienti vitali è più importante dei profitti delle
imprese.
L’Italia è, inoltre, caratterizzata da un territorio di
elevata fragilità ambientale; per le sue pecularietà geologiche,
sismologiche e vulcanologiche, è un Paese ad alto rischio. Crediamo
perciò che una politica di responsabilità debba, pur nella massima
considerazione dell’ambiente e della protezione della salute pubblica,
interrogarsi e pianificare senza isterismi il proprio futuro energetico.
L’Italia è un paese meraviglioso. Ricco
di storia, arte, cultura, gusto, paesaggio. Ma ha una malattia molto
grave: il consumo di territorio.
Un cancro che avanza ogni giorno.
Il limite di non ritorno, superato il quale
l’ecosistema non è più in grado di autoriprodursi è sempre più vicino.
Ma nessuno se ne cura. Fertili pianure agricole, romantiche coste
marine, affascinanti pendenze montane e armoniose curve collinari, sono
quotidianamente sottoposte alla minaccia, all’attacco e all’invasione di
betoniere, trivelle, ruspe e mostri di asfalto.
Non vi è angolo in cui non vi sia almeno un progetto a
base di gettate di cemento: piani urbanistici e speculazioni edilizie,
residenziali e industriali; insediamenti commerciali e logistici, grandi
opere autostradali e turistici.
Non si può andare avanti così! La natura, la terra,
l’acqua non sono risorse infinite. Il paese è al dissesto idrogeologico,
il patrimonio paesaggistico e artistico rischia di essere
irreversibilmente compromesso, l’agricoltura scivola verso un
impoverimento senza ritorno, le identità culturali e le peculiarità di
ciascun territorio e di ogni città, sembrano destinate a confluire in un
unico, uniforme e grigio contenitore indistinto.
La Terra che ci accingiamo a consegnare alle prossime generazioni è malata. Curiamola!
Il consumo di territorio nell’ultimo decennio ha assunto proporzioni preoccupanti e una estensione devastante. Negli
ultimi vent’anni, il nostro Paese ha cavalcato una urbanizzazione
ampia, rapida e violenta. Le aree destinate a edilizia privata, le zone
artigianali, commerciali e industriali con relativi svincoli e rotonde
si sono moltiplicate ed hanno fatto da traino a nuove grandi opere
infrastrutturali.
Questo consumo di suolo sovente si è trasformato in puro spreco, con decine di migliaia di capannoni vuoti e case sfitte: suolo sottratto all’agricoltura, terreno che ha cessato di produrre vera ricchezza. La sua cementificazione riscalda il pianeta,
pone problemi crescenti al rifornimento delle falde idriche e non reca
più alcun beneficio, né sull’occupazione né sulla qualità della vita dei
cittadini.
Questa crescita senza limiti considera il territorio una risorsa inesauribile, la sua tutela e salvaguardia risultano subordinate ad interessi finanziari sovente speculativi: un circolo vizioso che, se non interrotto, continuerà a portare al collasso intere zone. Un meccanismo deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo.
Questa crescita senza limiti considera il territorio una risorsa inesauribile, la sua tutela e salvaguardia risultano subordinate ad interessi finanziari sovente speculativi: un circolo vizioso che, se non interrotto, continuerà a portare al collasso intere zone. Un meccanismo deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo.
Tutto ciò porta da una parte allo svuotamento di molti centri storici
e dall’altra all’aumento di nuovi residenti in nuovi spazi e nuove
attività, che significano a loro volta nuove domande di servizi e così
via all’infinito, con effetti alla lunga devastanti. Dando vita a quella
che si può definire la "città continua". Dove esistevano paesi, comuni, identità municipali, oggi troviamo immense periferie urbane, quartieri dormitorio e senza anima: una "conurbazione" ormai completa per molte aree del paese.
Ma i legislatori e gli amministratori possono fare scelte diverse, seguire strade alternative? Sì!
Quelle che risiedono in una politica urbanistica ispirata al principio del risparmio di suolo, quelle che portano ad indirizzare il comparto edile sulla ricostruzione e ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente.
Quelle che risiedono in una politica urbanistica ispirata al principio del risparmio di suolo, quelle che portano ad indirizzare il comparto edile sulla ricostruzione e ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente.
Il fotovoltaico è una risorsa fondamentale per la
soluzione del problema energetico degli anni a venire, ma si possano
trovare collocazioni molto più vantaggiose della terra agricola.
Il 12% del territorio nazionale è già stato
cementificato, se un tetto su tre fosse coperto da fotovoltaico, si
realizzerebbe una superficie di 12.053 Km quadrati, ossia 241 milioni di
kWp. Che soddiferebbero tutto il fabbisogno nazionale diurno senza
sacrificare un solo metro quadro della nostra capacità produttiva
agricola.
Si potrebbero usare inoltre cave dismesse, vecchie discariche.
"Rimane di primaria importanza che lo sfruttamento
fotovoltaico avvenga con l’utilizzo in particolare dei tetti onde
evitare di sottrarre terreno fertile all’agricoltura".L’installazione dei pannelli fotovoltaici a terra avvenga esclusivamente con impianti di dimensioni piccole o medie, mentre l’installazione di impianti di grandi dimensioni, che determinano un notevole danno alla capacità produttiva agricola del territorio, avvenga solo ed esclusivamente nelle aree degradate ovvero non ad utilizzazione agronomica.


Nessun commento :
Posta un commento